mercoledì 31 luglio 2013

Capitoli estivi: Tunisi, che meraviglia

Sono arrivata in aeroporto con la mia borsa azzurra e senza altri bagagli, perchè se vai via solo due giorni i ricambi entrano anche nella borsetta. Indossavo un paio di pantaloni leggerissimi color crema e una camicia azzurra di cotone, comprata per l'occasione. Per completare il quadro sandali e un enorme cappello di paglia in testa, con tanto di fioccone azzurro, perchè un pizzico di follia non manca mai.
L'effetto finale doveva essere molto da turista americana, tanto che ai controlli aeroportuali a Malpensa gli addetti mi hanno parlato in inglese.
Vicino a me si è seduto un signore di 65 anni con i capelli bianchi e la pelle ambrata, che durante il breve volo mi ha raccontato la sua vita, il primo viaggio verso l'Italia alla ricerca di lavoro, negli anni '80, "quando il lavoro c'era", le esperienze come muratore, imbianchino e falegname.
Mi ha raccontato la prima volta che per tornare a casa ha preso l'aereo invece della nave ed è rimasto atterrito dagli scossoni, dalle turbolenze. E poi mi ha parlato della Tunisia, della sua Sousse dove ancora vive sua madre, e di quella Tunisi dove l'aereo sarebbe atterrato poco dopo.
Poi siamo rimasti in silenzio finchè non abbiamo intravisto la costa - il primo sguardo sull'Africa, per me - e poi l'aereo è atterrato.
 - Fai attenzione ai tassisti - mi ha poi detto il mio vicino, prima di sparire tra la folla - cercheranno di chiederti un prezzo molto più alto della normale tariffa.

Ho passato i controlli, ho trovato mio marito che mi aspettava agli arrivi, abbiamo contrattato il prezzo della corsa e siamo arrivati nel centro di Tunisi, nella medina, la città vecchia.
Ci siamo persi nel labirinto di stradine e infine abbiamo trovato il nostro alloggio, un'antica casa tradizionale restaurata e adibita a bed and breakfast, un posto insolito e bellissimo, che è servito da trampolino di lancio per immergermi nell'atmosfera di questa città meravigliosa.

Ho tante cose da dire su Tunisi. Sono arrivata piena di curiosità, per la città, per le persone, ma soprattutto perchè volevo fare il paragone col paese del Medio Oriente in cui vivo e scoprire un'altra sfaccettatura dell'aggettivo "arabo", parola che racchiude in sè universi paralleli e diversissimi.

A Tunisi non ho scattato foto. Avevo la macchina fotografica con me, carica e funzionante, ma non l'ho usata. Ci sono città che si mettono in posa e amano farsi fotografare. Fanno sfoggio dei loro monumenti e dei loro panorami e tu puoi scattare quante foto vuoi, perchè sai che quando avrai finito le statue e i paesaggi saranno sempre lì, uguali a se stessi, e tu potrai guardarli finchè vuoi.
Nella città vecchia di Tunisi i soggetti delle foto sono le persone, sono le scene che vedi per strada, l'uomo che divide la propria cena del Ramadan con un gatto randagio, il negoziante che contratta la vendita delle propria merce, i bambini che giocano a rincorrersi sulla strada acciottolata che si arrampica sulla collina. Avrei dovuto girare con la macchina fotografica in mano, fermarmi in continuazione per immortalare tutti quei frammenti di vita, arrabbiarmi perchè avevo perso l'attimo giusto per scattare e la scena era cambiata.
Quindi ho scelto di non fare foto ma di guardare soltanto, per non perdermi nulla.

A Tunisi era pieno Ramadan e abbiamo digiunato a pranzo, limitandoci a bere litri d'acqua nella penombra e nella frescura della nostra stanza. Abbiamo poi assaporato la cena tradizionale al ristorante, insieme ai Tunisini, al tramonto. Abbiamo assaporato i datteri che rompono il digiuno, gustato il brik con l'uovo all'interno, divorato l'agnello con l'okra e tutti gli altri squisiti cibi che accompagnano tradizionalmente questa festa.
Non è facile essere in un paese musulmano durante il Ramadan. Però, credetemi, ne vale la pena. E' un'esperienza bellissima, e sono lieta di averla potuta vivere, di aver potuto fare il confronto con il Ramadan mediorientale che ho vissuto lo scorso anno.

Ora non mi resta che dire com'è questa famosa città vecchia che mi ha tanto affascinata, e specifico subito che a colpirmi non è stata l'architettura o le opere d'arte (di cui comunque la città abbonda), ma l'atmosfera, che per la prima volta nella mia vita mi ha fatto sentire dentro Le città invisibili di Calvino.
Anzi, ve la racconto proprio così, come se fosse una di quelle del libro.

Le città e la memoria.
Arrivo a Tunisi al tramonto, quando il sole è ormai basso e una luce arancione si riflette sugli edifici, allungando le ombre dei minareti e facendo scintillare gli azulejos.
Il taxi mi ha lasciato in una piazza deserta, sono tutti a casa a cucinare e ad attendere la scomparsa del sole per poter cenare.
Trascinandomi dietro la valigia mi inoltro nel dedalo di viuzze acciottolate, tra i vicoletti bianchi di calce sormontati da archi e portici. Schivo il mucchio di spazzatura abbandonato ad un incrocio - delizia per i gatti e per le mosche - e il rigagnoletto di acqua sporca che corre al centro della strada. Vedo due gattini che corrono all'assalto dell'ennesimo mucchio di rifiuti maleodoranti, vedo gli edifici cadenti, che avrebbero urgentemente bisogno di essere restaurati. Mi chiedo che cosa sto facendo lì, cosa spero di trovare in mezzo al degrado.

Il giorno dopo vado in esplorazione. Giro l'angolo di una moschea, e la piazzetta che appare davanti ai miei occhi è uguale a quella che si trova nel mio sestiere, i vicoli sporchi all'improvviso sembrano quelli della mia città.
Svolto in una strada e mi arriva l'odore di segatura della bottega del falegname, lo stesso odore che sentivo da bambina quando andavo a trovare i nonni, l'odore della stanza a piano terra dove, in mezzo a pericolosi macchinari e a legni di tutti i tipi mio nonno intagliava, costruiva e intarsiava. L'odore che da quattro anni non sento più, e che è andato piano piano sfumando nella mia mente.
Passo accanto ad un portone e intravedo all'interno la bottega di un fabbro, con l'uomo che batte col martello sul ferro incandescente, e questo solleva in me dei ricordi, non so quali perchè oggi la professione è caduta in disuso ed è difficile trovare qualcuno che la pratichi, forse è solo la scena di un film che mi ritorna alla mente o la pagina di un libro che ho letto, ma è qualcosa che sento di possedere come ricordo.
Capito poi davanti alla bancarella delle spezie, dove il mucchio del peperoncino rosso fiammante sfiora quello della curcuma gialla, e dai lati pendono grossi mazzi di erbe profumate i cui aromi si inseguono e si accavallano nelle mie narici, ma non riescono a prevalere sulla fragranza dell'origano, proveniente da un grosso fascio appeso alla mia destra. Chiudo gli occhi e rivedo lo stesso mazzo appeso nella cucina della mia infanzia, in attesa che asciugasse per poterne poi conservare i fiori.

Mi aggiro nel negozio del vasaio, scintillante di terrecotte smaltate di mille colori, nella bottega dei tessuti, dove pesanti drappi ricamati pendono dall'alto e sfiorano le sete fruscianti appese sull'altro lato, entro nel negozio di profumi attratta dall'essenza di limone dal soave e pungente aroma, e tutto in me evoca ricordi e sensazioni, e mi chiedo se un pezzetto di Tunisi non sia inconsciamente dentro tutti noi, se quella città antica non sia che una collezione di ricordi che in Occidente stanno lentamente sbiadendo, le schegge di un mondo che una volta era anche nostro.

E ti viene l'ansia di poter perdere tutto questo, la paura che un giorno dei grattacieli sorgeranno proprio qui, spazzando via gli antichi edifici e i ricordi che vi sono aggrappati. Ti viene la voglia di portarti via tutto per nasconderlo e proteggerlo, vorresti portarti via i palazzi, i negozi, le persone, la silenziosa dignità dell'uomo che chiede a tuo marito di potergli pulire le scarpe, per strada, e gioisce delle poche monete che chiede in cambio.

Poi i due giorni finiscono, e devi ripartire.
Una settimana dopo, la Tunisia è di nuovo al centro dei fatti di cronaca, e non riesci a capacitarti del fatto che pochi giorni prima tu eri lì. E ti viene un'ansia nuova, come se il fatto non fosse solo una notizia del telegiornale ma coinvolgesse persone che conosci, luoghi che ami.
Ti rendi conto che c'è stato il colpo di fulmine e quella città, nel bene e nel male, resterà sempre nel tuo cuore.

lunedì 29 luglio 2013

Capitoli estivi, parte prima

Sono salita sull'aereo alle due del mattino, dopo aver passato quattro ore seduta su una seggiolina a leggere e a combattere contro il sonno. Mi sono sistemata come meglio potevo e ho cercato di dormire, con scarsi risultati. Quanto sono scomodi i sedili della economy class? piccoli, rigidi, ed ero anche senza cuscino a causa di uno "sciopero della società che gestisce la lavanderia", come ha annunciato con voce indecisa la hostess al microfono.
Impossibile ranicchiarsi, impossibile trovare un qualunque punto rialzato dove poggiare le gambe, e ovviamente impossibile reclinare il sedile.
Le ore si sono sgranate lente, e finalmente siamo atterrati a Roma, dove ho fatto una corsa per prendere l'aereo successivo.
Mentre la hostess si scusava per "uno sciopero della società che fa le pulizie" (cartacce ovunque) siamo decollati per il brevissimo volo, e caspita, che bello essere seduti accanto al finestrino in una giornata limpida. Ecco i soffioni boraciferi delle Colline Metallifere, il golfo di La Spezia, il promontorio di Sestri Levante, che da lassù sembrava un sassolino, Chiavari e Lavagna, l'autostrada che appare e scompare tra le colline.. e poi sono atterrata.
Sono uscita dall'aeroporto e ho respirato profondamente quell'aria fresca che sa di sale, di basilico, di timo, di lentisco, che ha il profumo dell'ardesia e delle spiagge di ciottoli.
Ho riabbracciato i genitori, ho guardato con gioia un paesaggio familiare dove la sabbia è solo in spiaggia e nemmeno tanto spesso, ho gustato di nuovo i piatti della mia regione cucinati in loco, quel sapore che all'estero non sono mai riuscita a ricreare uguale.

Poi sono andata all'anagrafe per rinnovare la carta d'identità che era scaduta. Ho aspettato un'ora e mezza, poi finalmente è arrivato il mio turno.
Ho detto all'impiegata che sono iscritta all'AIRE, lei ha guardato il computer e ha spalancato gli occhi, come se vivere all'estero fosse una cosa eccezionale e mai capitata prima. Mi ha chiesto conferma del paese e gli occhi le si sono riempiti di palme, di acque cristalline e spiagge candide, di ricchezza e sfarzo e di tutti gli stereotipi che accompagnano il paese del Medio Oriente dove abito.
Aveva il mio indirizzo sotto il naso, ma sapevo che nonostante questo la domanda sarebbe arrivata. E infatti poco dopo mi chiede:

- Senta.. ma com'è vivere nella Grande e Famosa Città?

Cioè, hai il mio indirizzo davanti agli occhi. Io non vivo lì. Abito a 300 km di distanza, in pieno deserto, in un posto dove l'unico lusso è quello di avere l'aria condizionata che funziona quando fuori ci sono 50°C. Ma non c'è niente da fare, per gli Italiani lo stato dove abito viene identificato con quella città, non esiste che possano esserci altri posti.
Stavo per dirle che a casa mia devo mettere le bacinelle in giro per le stanze perchè i soffitti gocciolano, che ci sono gli scarafaggi enormi, che le finestre sono bloccate e lasciano entrare chili di sabbia.
Poi non l'ho fatto perchè sarebbe stato un discorso lungo e inutile e chissà, magari per lei fantasticare sulle spiagge e sui grattacieli di cristallo era un modo per far passare un'altra noiosa giornata di lavoro.

- E' bellissimo - le ho detto.

Lei ha continuato a sorridere. Poi si è accorta di aver messo una riga nera sullo stato civile e sulla professione, si è scusata e ha detto che si poteva anche lasciare così. Ho controllato che almeno il nome ci fosse, e sono uscita.